“Quando offri un pranzo o una cena, non invitare i tuoi amici, né i tuoi fratelli, né i tuoi parenti, né i ricchi vicini, perché anch'essi non ti invitino a loro volta e tu abbia il contraccambio. Al contrario, quando dài un banchetto, invita poveri, storpi, zoppi, ciechi; e sarai beato perché non hanno da ricambiarti. Riceverai infatti la tua ricompensa alla risurrezione dei giusti”. (Luca 14,12-14)
Quando nelle nostre ricorrenze più gioiose stiliamo l'elenco degli invitati, istintivamente iniziamo la lista delle persone che noi riteniamo più ragguardevoli, che sono a noi più care e dalle quali, più o meno consapevolmente, ci attendiamo un contraccambio. Questo è un criterio umano e logico, che abitualmente viene praticato dalla stragrande maggioranza. Non siamo diversi neanche noi cristiani. Gesù però contesta palesemente tale scelta e ci dice chiaramente: «Quando offri un pranzo o una cena, non invitare i tuoi amici, né i tuoi fratelli, né i tuoi parenti, né i ricchi vicini, perché anch'essi non ti invitino a loro volta e tu abbia il contraccambio. Al contrario, quando dài un banchetto, invita poveri, storpi, zoppi, ciechi; e sarai beato perché non hanno da ricambiarti. Riceverai infatti la tua ricompensa alla risurrezione dei giusti». Il banchetto cristiano, da quando Cristo ha consumato con noi la sua cena, dandosi a tutti come cibo e bevanda di salvezza, deve essenzialmente conservare le stesse caratteristiche, deve avere cioè le caratteristiche della carità e della solidarietà vera. Anche alla nostra mensa deve essere sempre presente Cristo, se non sotto le specie eucaristiche, almeno in coloro che meglio lo rappresentano. Egli infatti si identifica in coloro che hanno fame, che hanno sete, che sono nudi, malati o carcerati. Una identificazione che è la naturale espansione e il pieno completamento dell'eucaristia. La stessa fede che ce lo fa riconoscere vivo e vero nell'ostia consacrata ci deve illuminare per farcelo vedere ancora vivo e vero nel povero, nell'affamato, negli ultimi e negli abbandonati. "Avevo fame e tu mi hai dato da mangiare. Avevo sete e tu mi hai dato da bere..." L'invito alla mensa non significa soltanto la condivisione del nostro cibo con loro, ma sta ad indicare il posto privilegiato che riserviamo loro nel nostro cuore e nella nostra vita per averli sempre con noi, perennemente invitati alla nostra mensa.
Se poi siamo cristiani, non possiamo non amare e non metterci dalla parte dei poveri, degli ultimi, degli emarginati: essi sono una presenza reale di Gesù Cristo.
Queste parole non possono lasciarci indifferenti! I poveri, gli ultimi, gli emarginati: una presenza reale di Gesù Cristo da onorare alla stessa stregua con cui onoriamo e custodiamo il Corpo di Cristo nell’Eucaristia. Già i Padri della Chiesa ci esortavano: “Vuoi onorare il corpo di Cristo? Ebbene, non tollerare che egli sia nudo; dopo averlo onorato qui in Chiesa con stoffe di seta, non permettere che fuori egli muoia per il freddo e la nudità. Colui che ha detto: ‘Questo è il mio corpo’, confermando con la sua parola l’atto che faceva, ha anche detto: ‘Ho avuto fame e non mi avete dato da mangiare’… Quale vantaggio può avere Cristo se il suo altare è coperto d’oro, mentre egli stesso muore di fame nel povero? Comincia a saziare lui che ha fame e in seguito, se ti resta ancora del denaro, orna anche il suo altare…” (Giovanni Crisostomo, Omelie sul Vangelo di Matteo). La carità vera allora non può non essere accoglienza del fratello bisognoso: accogliere il povero, l’immigrato vuol dire considerarlo uno di casa nostra, uno come noi, donargli il nostro tempo, fargli spazio nelle nostre amicizie, provvedere a lui con leggi giuste. Significa, inoltre, dargli una mano per superare l’emarginazione in cui spesso si trova a vivere, testimoniandogli che Dio è amore e Padre di tutti.
La comunità cristiana non vuole e non può restare indifferente dinanzi le necessità dei poveri, perché la parola del vangelo e del magistero ci ricorda che la carità è inseparabile dalla giustizia e, in tanti casi, dobbiamo riparare alla giustizia negata.
Ecco la proposta “Aggiungi un posto a tavola”: aprire le porte di casa a Pasqua, per condividere il pranzo o la cena con i poveri della nostra città, con gli immigrati, con chi è nel bisogno.
La nostra Pasqua in uscita, però, non vuole essere un’occasione per essere più buoni, ma vuole continuare a proporre uno stile di Chiesa che sa farsi prossima, che sa abitare le periferie, che è vicina a chi soffre, a chi è nel bisogno.
Per eventuali informazioni o per dare la propria disponibilità per invitare qualcuno a pranzo o a cena, rivolgersi ai responsabili della Caritas Parrocchiale dei Santi Gervaso e Protaso.
Don Barone - 15 marzo 2017