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necrologi

processione santini patronale

La festa patronale di una città

è un evento insieme religioso e civile che segna la vita della nostra comunità. La comunità cristiana si sente sollecitata ad incarnare quello

che il Concilio Vaticano II le chiede di essere un sacramento, “ossia il segno e lo strumento dell’intima unione con Dio e dell’unità di tutto il genere umano” (LG 1)

Il martirio è una grazia che il Signore ha concesso ai santi Gervaso e Protaso per sostenere la fede di tutti noi. Celebrare la festa del Patrono è, dunque, un dovere di

gratitudine e, insieme, uno stimolo a testimoniare in modo coraggioso la nostra fede in Cristo che sulla Croce ha vinto per sempre il potere della violenza con

l’onnipotenza dell’amore. “Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la vita per i propri amici” (Gv 15,13): ogni testimone della fede vive questo amore “più

grande”, accettando il sacrificio fino all’estremo. Il martirio cristiano si giustifica solo come supremo atto di amore in risposta all’immenso amore di Dio consumato sulla

Croce. San Bernardo, nei Sermones super Cantica, afferma che il coraggio del martire deriva proprio dalle piaghe di Gesù, entro le quali l’uomo di fede dimora. La forza per

affrontare il martirio nasce, dunque, dalla profonda e intima unione con Cristo, il quale immediatamente dopo il suo ingresso a Gerusalemme risponde alla richiesta di

alcuni greci, che lo volevano vedere, annunciando la sua Passione: “Se il chicco di grano, caduto in terra, non muore, rimane solo; se invece muore, produce molto

frutto” (Gv 12,24). Non c’è alternativa per i discepoli di Gesù all’infuori di questa: “Chi ama la propria vita, la perde e chi odia la propria vita in questo mondo, la

conserverà per la vita eterna” (Gv 12,25). Santi Gervaso e Protaso ci hanno lasciato questa testimonianza di libertà e di fedeltà: la libertà di dare la propria vita per

rimanere fedele al Vangelo. Il loro martirio ci ricorda che “la forma più intensa dell’esperienza della libertà è l’amore”.

Il Martirologio Romano documenta che “il cristianesimo si è affermato e ha vinto non quando ha cercato di andar d’accordo con gli araldi della menzogna, i profeti

del nulla, gli adoratori dei vari idoli del mondo, ma quando ha saputo essere se stesso fino a esigere il sacrificio della vita; non quando si è posto a civettare con

negatori dei valori e delle certezze, ma quando ha saputo affidarsi senza titubanze alla forza della verità; non quando si è illuso che la vita cristiana possa essere una

passeggiata sotto i mandorli in fiore, ma quando non ha dimenticato che il battesimo arruola e sostiene in una lotta contro il male, che nella storia non finisce

mai”. Il termine martirio non può essere equivocato. È una parola che indica una moltitudine immensa di cristiani che sono rimasti fedeli a Cristo anche quando il

prezzo era, ed è, il più alto possibile: versare il proprio sangue. Per celebrare degnamente i martiri Gervaso e Protaso rendiamo omaggio ai tanti cristiani che in

varie parti del mondo sono perseguitati a causa della fede. Esige una presa di posizione chiara e coraggiosa per condannare in modo unanime e senza alcuna

ambiguità tali crimini e denunciare la pratica di invocare la religione per giustificarli”.

Una parola chiara e coraggiosa occorre dirla sul termine martirio, assunto per indicare, accanto ai martiri della fede, i martiri della patria, della mafia, del lavoro,

del totalitarismo: fedeli alle proprie idee, testimoni fino alla morte. Quando i kamikaze, che dicono di agire nel nome del Profeta, si definiscono “martiri” e

affermano di essere disposti al “martirio”, anzi di cercarlo, occorre gridare con forza che non sono martiri: non lo sono nemmeno per larghissima parte dell’Islam! I

kamikaze, infatti, non sono martiri ma “criminali con pulsione suicida”. Il martire è tutt’altra cosa: è sempre disarmato; ama, non odia; non si toglie la vita, ma la dona; è

incapace di qualsiasi violenza; non cerca il martirio ma, se costretto, è disposto a subirlo. La sua testimonianza è mite e pacifica: estingue l’odio con il perdono.

Pertanto, le parole martire e martirio non possono essere corrotte nel senso voluto dai kamikaze, perché dimenticheremmo due millenni di storia, di umanità e di fede.

“Occorre, dunque, difendere queste parole dall’aggressione dei violenti e dalla dabbenaggine dei distratti”.

I martiri sono quelli che, pur di conservare l’indissolubilità del rapporto con Cristo, hanno accettato persino la morte. I martiri hanno giudicato preferibile l’ultima libertà

che è data all’uomo, quella di morire per Cristo piuttosto che cedere all’ingiustizia di offendere la verità. La celebrazione della festa dei santi Gervaso e Protaso ricorda a

tutti noi che non si può scendere a compromessi con l’amore a Cristo, alla sua Parola di verità. La vita cristiana esige, per così dire, il “martirio” della fedeltà quotidiana al

Vangelo, il coraggio cioè di lasciare che Cristo cresca in noi e sia Lui a orientare il nostro pensiero e le nostre azioni.

I santi Gervaso e Protaso hanno sopportato i tormenti del martirio. Sopportare tacendo, sopportare amando, sopportare benedicendo: questa è la testimonianza di

Gervaso e Protaso che ci hanno lasciato in eredità; la loro lezione di vita ci insegna ad affrontare il martirio delle umiliazioni a cui può capitare a tutti di essere sottoposti. È

utile richiamare, al riguardo, le parole pronunciate da Papa Francesco nell’omelia della Messa presieduta con i nuovi Cardinali da lui creati in occasione del suo primo

Concistoro pubblico. “Amiamo coloro che ci sono ostili; benediciamo chi sparla di noi; salutiamo con un sorriso chi forse non lo merita; non aspiriamo a farci valere,

ma opponiamo la mitezza alla prepotenza; dimentichiamo le umiliazioni subite (…). Un cuore vuoto di amore è come una chiesa sconsacrata, sottratta al servizio divino e

destinata ad altro”.

Perdonare non significa chiudere gli occhi dinanzi al male: non si perdona perché si dimentica, si dimentica perché si perdona! Il perdono non sostituisce il giudizio ma lo

supera, ricrea le condizioni per un nuovo inizio, attesta che la misericordia di Dio precede il pentimento dell’uomo, chiamato a perdonare i nemici (cf. Mt 6,14-15), a

“rivestirsi di sentimenti di tenerezza, di bontà, di umiltà, di mansuetudine, di magnanimità” (cf. Col 3,12-15). I santi Gervaso e Protaso ci aiutino a “rivestirci della

carità”; loro che hanno benedetto la nostra città, vengano in aiuto alla nostra debolezza: sciolgano le nostre mani legate dal ricordo delle offese ricevute e ci

conceda di sollevarle e di benedire.

La nostra identità civile ed ecclesiale è fondata sul martirio dei santi Gervaso e Protaso; celebrare la festa dei santi Patrono significa rileggere, con umile fierezza, la

genesi della storia della nostra città e riscoprire le radici della nostra fede che i nostri santi hanno confessato con “mite fortezza”.

 

Don Barone- 15 giugno 2017